Conclusioni
Discussioni infinite che si concentrano su particolari come questo (una parola in un manoscritto) rischiano di far perdere di vista tutto il resto, e di far pensare che la credibilità o meno della tesi sostenuta da Barbara Frale dipenda esclusivamente dalla soluzione di questi piccoli problemi. Tutta la teoria, invece, rimane comunque incredibile. È vero che Frale parla spesso di “altre testimonianze” che rendono “il passaggio della sindone fra i Templari più che probabile”[1]; queste testimonianze citate nei suoi libri, però, le ho esaminate una ad una, e mi si sono rivelate tutte inconcludenti (talora esclusivamente congetturali, talora manipolate, talora maltradotte, talora addirittura inesistenti). Non sono esente da errori, certamente, e anche io potrei sbagliarmi in qualche cosa: ma l’errore più grande sarebbe quello di credere che - anche se ciò dovesse avvenire - il riuscire a mantenere in piedi un singolo puntello equivalga ad aver salvato un palazzo costruito sulla sabbia.
Antonio Musarra, da parte sua, si è inserito all’interno di un dibattito che già da tempo era in corso, limitandosi a proporre dalle colonne di un quotidiano due semplici definizioni di dizionari, senza alcun tipo di approfondimento e soprattutto senza aver controllato le fonti. La ricopiatura della definizione di un vocabolario è un’operazione che può fare chiunque; da chi sta svolgendo un dottorato di ricerca ci si aspetta qualcosa di più, e una maggiore attenzione per quello che si cita. Se non avesse avuto fretta di uscire su Il Giornale, Musarra avrebbe forse evitato di citare due testi inconcludenti, e avrebbe evitato di sottoporre al grande pubblico di un giornale lo strafalcione dei bicchieri. La pagina internet eliminata, poi, la conservo in memoria come pietoso esempio di mutuo soccorso.
Frale avrebbe dovuto concentrarsi di meno sulla formulazione di accuse di incompetenza e incapacità di svolgere “un accurato lavoro di verifica” rivolte a me e ai suoi “oppositori”, dedicando invece il suo tempo a dimostrare di esserne capace lei stessa. Il manoscritto dei Templari parla e continua a parlare di un’immagine, di una statua, di un bassorilievo o di una scultura di legno. L’uso metonimico di un termine in un linguaggio specifico (cosa tutt’altro che rara) non può certo modificare il significato consueto di quel termine e permetterne un’applicazione in qualunque contesto. L’insistenza su un uso ligure di fustum, tra l’altro, dal momento in cui lei sul manoscritto legge fustanium, non ha nessuna rilevanza: non serve aggrapparsi al salvagente di qualsiasi parola che inizi per fust allo scopo di trasformare un pezzo di legno nella sindone di Torino.
Chissà se prossimamente Frale vorrà ancora insistere sui bicchieri di fustagno, tipiche stoviglie del medioevo genovese, frequentissime sulle tavole dei Templari. In tal caso neppure Giovanni Aquilanti, ne sono certo, avrà il coraggio di assecondarla.
[1] B. Frale, La crociata del «Signum fusteum», op. cit., p. 12.